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PHILM n.1

La costruzione del reale

“Reale” è un termine sfuggente. L’evidenza apparente del suo significato si scontra immediatamente con l’evanescenza del suo senso e la molteplicità di sensi possibili. Come possiamo definire ciò che è reale? A cosa si oppone questa parola? Come è possibile qualificare opposizioni come reale/virtuale, reale/immaginario, reale/simbolico, reale/fantasmatico, realtà/finzione? Ognuna di queste coppie oppositive riassume una polarizzazione di fondo, una possibile via di accesso al problema della configurazione del reale e del nostro rapporto con esso.

La transizione tra XIX e XX secolo ha rilanciato secondo nuove coordinate e nuove prospettive il dibattito sul problema del reale a partire dalla rivoluzione tecnologica che ha attraversato l’Europa e il mondo intero. Riattivato dai nuovi dispositivi di produzione e riproduzione dell’immagine e del suono – fotografia, cinema, registrazione del suono su nastro magnetico – il concetto di reale ha trovato ulteriori declinazioni, incrociando spesso e volentieri il pensiero del Novecento e costruendo pratiche e forme che hanno ulteriormente approfondito il senso di ciò che, oggi, chiamiamo reale.

Il cinema in particolare, fin dai suoi inizi, è stato un luogo in cui si sono incarnate e dispiegate queste tensioni. Documento e testimonianza del reale, il cinema è allo stesso tempo il luogo della finzione e della costruzione di storie e paesaggi immaginari: due anime che attraversano ancora oggi la produzione audiovisiva e che continuano a presentarsi e ripresentarsi secondo un intreccio costitutivo che spesso rende impraticabile l’opposizione tra ciò che possiamo considerare una testimonianza del reale e ciò che è finzione. Una tale prospettiva ha attraversato e continua ad attraversare le forme audiovisive contemporanee e diventa ancora più urgente nel momento in cui è il dispositivo cinematografico e audiovisivo stesso a mutare forma e struttura.

Il cinema – e, in senso più esteso, le pratiche audiovisive – testimoniano piuttosto di un’“attività di costruzione”, di produzione e di creazione che attraversa obliquamente queste opposizioni – sia dal punto di vista delle tecniche realizzative che da quello dei generi (cinema documentario/cinema di finzione). Non si tratta di scegliere se rappresentare il reale o costruire la finzione, ma di mettere in gioco quello che André Bazin chiamava un’impronta, un rapporto particolare che è al tempo stesso una costruzione, una forma, e una testimonianza di ciò che è stato presente di fronte allo sguardo meccanico della cinepresa. Il realismo dello sguardo cinematografico assume così la funzione di una rivelazione del reale nella misura in cui la scelta tra “rappresentare” e “costruire” diviene sempre più impalpabile.

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